Così la crisi ha cambiato banche, imprenditori e imprese

“La crisi e il risveglio borsistico hanno modificato e stanno modificando il mondo delle imprese e degli investimenti in Italia. Oggi le aziende sono molto più aperte rispetto a qualche anno fa”. Lo afferma Roberto Meneguzzo, consigliere e fondatore di PFH.

“I tassi sono bassissimi – conferma Giorgio Drago, amministratore delegato di PFH – ma ad avvantaggiarsene sono, tutto sommato, poche imprese. Le richieste delle banche, prima di concedere credito, sono più rigorose perché le norme impongono vincoli più rigidi. Oggi – spiega ancora Drago – ci sono poche grandi banche, più lontane dal territorio, sia in termini fisici sia perché meno accessibili. Il risultato è che i tempi di risposta, se non si è un attore primario, sono più lunghi e mettono a rischio le Pmi”.

“Ricordo – conferma Meneguzzo – operazioni importanti che, 20 o 30 anni fa, si esaurivano in un colloquio con il ceo o il direttore generale della banca. Questo rapporto stretto tra imprenditore e vertici ha in parte determinato la crisi, ma allo stesso tempo dava alle aziende più sicurezza. Adesso le cose sono molto cambiate. Oggi – continua il fondatore di PFH – avere un filo diretto con i vertici degli istituti di credito è molto più difficile. E allo stesso tempo è cambiata la governance, con molta meno autonomia da parte dei manager”.  

È un passo avanti? Drago la definisce “un’accelerazione della selezione darwiniana. Tutto sommato – afferma – è un bene”. Anche Meneguzzo lo vede come “un miglioramento”. Perché “le imprese italiane sono sempre state bancocentriche, mentre la crisi ha spinto gli imprenditori a una maggiore apertura. A differenza di quanto avveniva in passato, oggi è difficile che rifiutino un colloquio con un potenziale investitore”.

Ma la trasformazione non riguarda solo la filiera del credito e degli investimenti. A cambiare è il tessuto produttivo. Da una parte, spiega l’amministratore delegato di PFH, “c’è un’accelerazione dei processi di aggregazione e consolidamento”. Le imprese italiane, da sempre molto attaccate al campanile, stanno capendo che unire le forze è spesso l’unico modo per avere successo. Dall’altra parte, afferma Meneguzzo, “non è cambiato solo il rapporto tra impresa e banca, ma anche quello tra imprenditore e impresa. Nelle nuove generazioni l’azienda non è più un onere che però non è possibile cedere, come fosse il castello di famiglia. I più giovani sono molto pragmatici. E se capiscono che per crescere è necessario aprire il capitale, sono pronti a farlo”.